Ascolta l’intervista di Uomini e Profeti a Meir Margalit: “Israele e Palestina: oltre il conflitto”

MEIR MARGALIT A TORINO SPIRITUALITÀ

Con i pochi biglietti a disposizione, temevo di non riuscire a rivederlo, ma Elena mi ha spianato la strada. Ed eccolo il caro Meir, stretto fra le mie braccia. Non è molto cambiato dal’ultima volta che fummo ospiti, padre Giorgio ed io, a cena  con lui a Gerusalemme nella sua piccola casa a Katamon.
I suoi occhi sprizzano intelligenza e la sua cordialità ispira affetto e pace. E di pace abbiamo parlato mentre ci incamminavamo  dal convento francescano al teatro Gobetti.
La rincorsa provocata dalla entrata in lizza di un partito di estrema destra, che poi non è entrato nella Knesset, ha radicalizzato le posizioni dei due partiti principali, Likud e Bianco e Blu. La pace non è più all’ordine del  giorno e perfino all’università dove insegna la pace non è comparsa fra le istanze avanzate dal corpo accademico e non è da escludere una terza tornata elettorale. La sala del teatro Gobetti era quasi piena in attesa del dibattito con Domenico Quirico, moderato dall’ottimo Matteo Spicuglia.
Vi sono luci nella tenebre del Medio Oriente?
Nessuna luce, risponde Quirico, testimone della guerra civile in Siria: lì è nata un’altra variante umana, quella del combattente senza pietà, una specie che si autoperpetua in un conflitto senza fine dove sempre nuovi attori entrano in campo. Una riedizione moderna della guerra dei Trent’Anni.
E in Israele? Meir con molto pudore parla della sua conversione, da giovane sionista sbarcato dall’Argentina animato dalla speranza di trovare in Israele la sicurezza a cui da sempre anela il suo popolo. E invece della sicurezza trova la guerra, l’ospedale dove giace ferito, dove il suo vicino di letto il giorno seguente muore e accanto al suo letto si stringono i parenti. E lì capisce che l’aspirazione al Grande Israele è un’ideologia che ha costi troppo elevati, che è foriera di morte. Capisce che altra è la strada da battere per conseguire la sicurezza. A precisa domanda di Spicuglia spiega come la convinzione di essere vittime designate è alla base di tutto questo. Se qualcuno solleva critiche la risposta è “Come osi criticare? Noi siamo le vittime, tu sei un antisemita.” Uno stato d’animo coltivato fin dalla tenera età. Racconta un esperimento condotto da un sociologo in un giardino d’infanzia. Qualcuno bussa alla porta. Il sociologo dice: “E’ un arabo” e subito tutti i bambini scoppiano in lacrime. “Come spiegare altrimenti che i giovani non protestino alla ferma di tre anni di servizio militare?”
E i politici incoraggiano questo stato d’animo. Come uscirne? Molti i rancori,  le ferite da una parte e dall’altra mpossibili da sanare.
E’ necessario, dice Meir, incoraggiare il dialogo a partire dalle piccole cose: parlare di sciocchezze, di cucina, di incontri di calcio e lasciare per ultime le ferite che sanguinano. Interrogato sul suo pacifismo, Meir nega di essere guidato da filantropia. No, si tratta del futuro dei nostri ragazzi, afferma con forza. Ricorda quando al tempo dell’Intifada, tremava ogni volta che i sui figli uscivano per incontrare gli amici nel timore che non tornassero più. E ora che di nipoti ne ha quattro a spingerlo su posizioni sempre meno condivise è l’esistenza di quattro nipoti per i quali prevede un futuro terribile se non si cambia atteggiamento. Sì, dice, siamo sempre di meno, ma la speranza non si spegnerà finché vi sarà qualcuno a tenere viva questa fiammella e l’amicizia e il sostegno del Circolo dei  Lettori e di Ponte di Pace è una vera boccata di ossigeno.
Meir ha fatto parte dell’amministrazione di Gerusalemme per lunghi anni fino al 2014 e un amico gli disse una volta: “Meir non sei un politico, fai cose che non ti porterà nemmeno un voto in più”. E davvero Meir non è un politico è un profeta, un vero uomo di pace. Arriva a ritenere indispensabile una mossa impossibile: il ritiro unilaterale e senza condizioni di Israele dai territori occupati – lo stesso disse molti anni fa il rabbino Leibowitz: Via dai territori!
E’ necessario questo passo, sostiene con forza, affinché i palestinesi recuperino la loro dignità e riconoscano finalmente le sofferenze del popolo ebraico. Impossibile, ma necessaria questa mossa, ne va del futuro dei giovani. E lo incoraggia notare che proprio i giovani, quelli che hanno viaggiato in Europa negli Stati Uniti, si chiedono sempre più numerosi perché non sia possibile vivere in pace e sicurezza anche in Israele e cominciano a rendersi conto che Israele è una anomalia. Ma i politici attuali navigano su una rotta assai diversa. Riflettevo come anche nel nostro piccolo i radicati rancori sono superabili con piccoli gesti di amicizia, che realizzano a poco a poco il comando evangelico: “Amate  vostri  nemici”.

MEIR MARGALIT, UNA SCELTA DI PACE

Sabato 28 settembre la città di Racconigi ha incontrato una coinvolgente storia umana:  Meir Margalit, ebreo israeliano, nato in Argentina nel 1952, faceva parte di un gruppo sionista quando emigrò in Israele. Ma poi qualcosa è cambiato. Meir oggi vive a Gerusalemme, ama profondamente la sua città e parla con franchezza anche dei suoi lati oscuri e delle sue contraddizioni …

I genitori di Meir sono fuggiti dall’Europa al tempo della shoah trasmettendo ai figli, insieme al trauma subito, la convinzione che Israele fosse l’unico luogo sicuro dove vivere per un ebreo.

Il giovane Meir sceglie di arruolarsi volontario nell’esercito considerando un privilegio morire per la patria. Si ritrova così coinvolto nella guerra di Yom Kippur (1973) e si scontra con la brutalità di un conflitto armato: niente eroismi, nessuna gloria, solo morte e distruzione. Viene ferito in combattimento e durante la convalescenza in ospedale inizia un lento cammino di conversione: dal nazionalismo al pacifismo, dal sionismo all’umanesimo. Non c’è ragione di morire per la patria, per la patria è necessario vivere.

La giornata racconigese di Meir è cominciata presso la scuola superiore della città, dove circa 100 studenti hanno ascoltato il racconto della difficile esistenza della popolazione araba palestinese che vive nei quartieri est della città e che deve fare i conti con un territorio costantemente militarizzato, con norme talvolta discriminanti e con il continuo rischio della deriva violenta da entrambe le parti.

Passando dalla sua esperienza personale alla vita del suo popolo, dalla storia di Israele alla storia d’Europa, dalle sofferenze del passato alla speranza per il futuro, ha fatto riflettere i ragazzi su quanto siamo fortunati a vivere un tempo di pace. La democrazia non sopravvive da sola, non è da sola garanzia di pace, siamo noi che dobbiamo vigilare e impegnarci costantemente per la libertà,  il rispetto dei diritti umani e la giustizia sociale.

Gli studenti, i docenti e il Dirigente Scolastico della sezione di Racconigi ringraziano moltissimo Meir Margalit per aver condiviso con loro la sua esperienza, per averli aiutati a comprendere un po’ di più una parte della storia contemporanea così complessa e per averli avvicinati un po’ alla sua terra che ben tre religioni definiscono “Santa” e che, oggi, lui dice, è “intrappolata in una rete intessuta con fili invisibili di amore e dolore”.

Al pomeriggio Meir ha incontrato la cittadinanza presso la sala conferenze del Museo della Seta, per l’occasione affollata da persone attente e commosse di fronte a un uomo che ha fatto parte della municipalità della città per ben due mandati, tra il 1998 e il 2014, e che oggi è considerato un traditore in patria, soprattutto dopo la pubblicazione del suo libro “Gerusalemme città impossibile”. Ma non si può uscire da nessun conflitto e non può iniziare nessun cammino di pace se prima non si fanno i conti con la verità. Questa è la ragione per cui ha scritto il libro. Il dialogo è per definizione “fra pari”, non è possibile se una parte vive in condizione di inferiorità sociale.

Meir è tra i fondatori di ICAHD (Comitato Israeliano Contro la Demolizione Delle Case) che difende il diritto alla casa per la popolazione palestinese. ICAHD è interamente composta da cittadini israeliani che impediscono quando riescono la demolizione  delle case o le ricostruiscono, talvolta a oltranza.

Nonostante il perpetrarsi delle tensioni e la difficile convivenza tra i due popoli Meir guarda al futuro con il fiducioso realismo di chi sa che la guerra non può mai essere uno strumento di risoluzione dei conflitti. Tutti gli israeliani e tutti i palestinesi vogliono la stessa cosa: un paese sicuro, prospero e sano per i loro figli, al di là della politica e di ogni ideologia. Quando si realizzerà tutto questo? Un versetto del Talmud recita «non vedrai la fine del tuo lavoro, ma non hai il diritto di smettere di lavorare».

A sincera dimostrazione di gratitudine la giornata racconigese di Meir si è conclusa con la fila dei partecipanti in attesa per la firma del libro …